mercoledì 24 febbraio 2010

Dieci parti d’acqua e cinque di vino

L’alimentazione ha sempre avuto una valenza sociale nella storia dell’umanità, tanto da condizionare in maniera determinante lo sviluppo delle società in ogni epoca.
“Siamo quello che mangiamo” (Feuerbach) da un punto di vista costituzionale, ma è anche vero che il modo in cui mangiamo è funzione dell’epoca nella quale ci troviamo, e delle condizioni socio-economiche che viviamo.
Queste riflessioni sono lo strascico della mia partecipazione serale all’appuntamento inaugurale del ciclo di incontri “Il pane e le rose: incontri tra scienza e cultura dell’alimentazione”, organizzati dal Consiglio del Corso di laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari della facoltà di Agraria (Università di Potenza) e da Formica Onlus (http://www.formicaonlus.org/), nel quale si è discusso di “Storia e Cultura nella Grecia Antica” con un seminario tenuto dal Prof. Luigi Gallo (http://vyew.com/room#/663583/Il_Pane_e_le_Rose_n._0).
Leggera ed interessante la trattazione che delinea il quadro storico culturale nel quale sono maturate le abitudini alimentari nella Grecia Antica, condita da diversi riferimenti letterari.
Un’alimentazione basata prevalentemente su legumi e cereali (un ruolo marginale aveva anche il consumo di pesce , latte e carne, soprattutto di maiale ed ovina), frumento ma soprattutto orzo (raffigurato anche in monete dell’epoca) del quale si decantavano le proprietà terapeutiche (“l’orzo…contiene qualcosa di evacuante che gli viene dal succo della paglia” – Ippocrate, “Sul regime”), impiegati in combinazione con semi di papavero o cumino per produrre diverse tipologie di pane (Artolagano, Kapyria, Apanthrakis, Boletinos). La dimostrazione che l’alimentazione si basasse prevalentemente sui cereali è evidente oltre che dall’analisi delle arcate dentarie di uomini dell’epoca (la conformazione e lo stato di molari ed incisivi risultava differente in relazione ad un’alimentazione prevalentemente basata su vegetali e legumi, o su carne) anche da fonti letterarie, ad esempio nell’Odissea (IX, vv. 190-192) riferendosi al Ciclope Polifemo ed alla sua diversità nei confronti dei greci si trova “Era un mostro immenso, non somigliava ad un uomo che mangia cereali, ma alla cima selvosa di altissimi monti, che appare isolata dalle altre”.
Tanti gli altri spunti interessanti che è difficile sintetizzare in poche battute. Ed allora ci provo. Era diffusa la pratica di mangiare sdraiati su letti conviviali, ed il vino veniva sempre servito annacquato in quanto si riteneva che bere vino puro fosse un rito barbaro, degno di popoli rozzi ed incivili (“Su, ragazzo, portami la tazza, che io beva d’un fiato, versa dieci parti d’acqua e cinque di vino, perché senza violenza io voglio ancora inebriarmi”. – Anacreonte, fr.33). Fondamentale l’uso del sale nella preparazione dei piatti (“Prima di tutto c’è il sale, senza il quale nessun cibo è mangiabile”. – Plutarco, Questioni conviviali, 668 e), tanto da incidere sul controllo dell’ira (“Quando, per una pietanza troppo cotta o che sa di fumo o che è poco salata si battono i servi o si ingiuria la moglie”. – Plutarco, Sul controllo dell’ira, 461 C).
La riflessione di fondo è relativa alla considerazione che ogni società, nel tempo, ha seguito criteri diversi nella scelta di ciò da mangiare, in base a fattori sociali, geografici, culturali. Come scriveva Alexandrides nel 1400 circa: “…..il greco disse all’egiziano: tu adori il bue, noi lo sacrifichiamo agli dei (e lo mangiamo); tu fai dell’anguilla un gran dio, noi una grandissima pietanza; tu non mangi il maiale, io lo gusto più di ogni altra cosa; se tu vedi il gatto stare male piangi, io invece lo ammazzo…”.

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