martedì 12 ottobre 2010

Latte ed alimenti funzionali

Al giorno d'oggi si sente tanto parlare di prodotti funzionali e dell'importanza biologica di alcune molecole che assorbiamo dagli alimenti. L'INRAN, ovvero l'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (http://www.inran.it/) ha pubblicato la prima monografia sul latte ed i prodotti funzionali, che raccoglie e illustra le più recenti ed affidabili informazioni scientifiche riguardo questi alimenti e che affronta anche in modo chiaro e approfondito gli aspetti merceologici, tecnologici e commerciali di questi prodotti. Coloro che volessero approfondire questo tema possono reperire la monografia a questo indirizzo (http://www.assolatte.it/assolatte/pressAreaDetail.jsp?download_id=34).

sabato 2 ottobre 2010

De-junking food

Abbiamo sentito parlare tante volte di junk food (http://trashfood.com/2010/07/junk-food-marketing-multigrain-p-r-i-n-g-l-e-s.html), ovvero del cibo spazzatura che ci circonda e che tanto amano i nostri adolescenti ed anche tanti adulti. A tal proposito fece scalpore la campagna pubblicitaria contro il junk food ideata dal governo inglese per sensibilizzare al problema del cibo spazzatura la popolazione inglese (http://www.dailymail.co.uk/health/article-1293824/Junk-food-mountain-The-astonishing-rubbish-child-eats-year.html). è notizia di questi giorni però che in America è nato il primo fast food anti cibo spazzatura, che si pone come seria alternativa al classico Mc Donald's. 4-FOOD, questo il nome della catena che si propone come il primo de-junking fast food. "Our mission is to De-junk fast food™. We bring fast food that's fresh, delicious, and nutritious to all ages, lifestyles, incomes, and ethnicities. No fads, fillers, or anything artificial. We're revolutionizing counter culture, in real-time", questo è ciò che si legge nella pagina del sito nella quale si descrive la Mission aziendale. Se volete saperne di più andate qui (http://4food.com/corporate/).

sabato 7 agosto 2010

I coloranti artificiali nelle bevande analcoliche

Il blog della professoressa Ferretti (http://trashfood.com/) questa volta ci fa riflettere su come sia facile relizzare delle bevande analcoliche con il giusto mix di pochi ingredienti e qualche colorante artificiale (http://trashfood.com/2010/08/cedrata-spuma-e-chinotto-a-km-zero.html). Ad esempio, vi siete mai chiesti da dove deriva il giallo della cedrada??? Dall'aggiunta del colorante artificiale "Tartrazina" (E102) già noto come responsabile di fenomeni di ipersensibilità come orticaria, rinite, spasmi bronchiali, gonfiori (http://www.eurosalus.com/alimentazione/schede-sma/tartrazina.html). Ed a partire dal 20 luglio 2010 gli alimenti contenenti i coloranti E 102, E 104, E 110, E 122, E 124 ed E 129, dovranno recare, accanto alla denominazione (E), anche la scritta “può influire negativamente sull’attività e l’attenzione dei bambini”. Le aziende si adegueranno o aggireranno l'ostacolo?

sabato 13 marzo 2010

Galline a terra o galline in batteria? A proposito della campagna LAV

IL 13 e 14 marzo la LAV propone una campagna per sensibilizzare i consumatori sulle potenziali sofferenze delle galline ovaiole allevate in batteria (http://www.infolav.org/), proponendo in alternativa l’allevamento a terra o il biologico come esempi da seguire.
Come è noto, la legislazione sull’etichettatura delle uova propone tra le altre cose l’attribuzione di un numero in relazione alla tipologia di allevamento dalla quale le uova provengono (0= biologico; 1= all’aperto; 2= a terra; 3= in batteria).
I movimenti animalisti da tempo portano avanti una battaglia a favore di condizioni migliori di vita ed allevamento per le galline ovaiole, che nell’80 % dei casi in Italia sono allevate in batteria, ove sembrerebbero accusare problemi di comportamento e di stress. Dalla parte dei movimenti animalisti vi è la Direttiva 74/1999 che impone l’abolizione delle gabbie di batterie dal 1 gennaio 2012, e che sta trovando forti resistenze da parte delle industrie di produzione, per via degli eccessivi costi necessari alla riconversione degli allevamenti che determinerebbero un incremento dei costi di produzione, con un conseguente danno di competitività per le aziende (http://www.luigiboschi.it/?q=node/29891).
I pareri sulla qualità nutrizionale delle uova allevate a terra rispetto all’allevamento in batteria sono discordanti, ma alcuni ricercatori (British Journal of Nutrition, Pennsylvania State University, Mother Earth News) hanno dimostrato che le uova da allevamento biologico o all’aperto sarebbero più ricche di omega 3, vitamine A, E, D, B12, beta carotene, acido folico e conterrebbero meno colesterolo di quelle in gabbia.
E dal punto di vista igienico come la mettiamo con gli allevamenti a terra?
“Il peggio, osserva l'Unione Nazionale Consumatori, è che vivono nei loro escrementi, ove depositano le uova. ……Gli allevamenti a terra o, più esattamente, i capannoni chiusi in cui le galline vivono ammassate nei loro stessi escrementi sono pochissimi proprio perché comportano problemi di igiene e di gestione molto pesanti, producendo una melma putrida ed esalazioni pestilenziali……………. Inoltre, poiché le condizioni igieniche sono pessime, gli allevatori devono mettere una maggiore quantità di antibiotici nei mangimi per prevenire le malattie delle galline e gli antibiotici, come è noto, finiscono nelle uova. La quantità di queste ultime non è affatto superiore a quelle delle uova in batteria, come sostengono falsamente gli animalisti, anzi da un punto di vista igienico non sono affatto raccomandabili.”
(http://www.europeanconsumers.it/articolo1.asp?art=632)
Conferma di ciò si trova ad esempio nel Disciplinare di Produzione Integrata per le Uova da consumo fresco della Regione Emilia Romagna (http://www.agraria.it/disciplinari/egg1.htm) nel quale si legge: “Tecniche di allevamento: Sono ammesse le forme di allevamento in ambienti chiusi. Per ovvi motivi igienici e sanitari le galline devono essere allevate in batteria”.
La disputa resta aperta insomma!

lunedì 8 marzo 2010

dalla canapa alla birra...

Il mercato delle birre richiede sempre la novità, si sa, ma a volte il sospetto e l’errata comunicazione, specialmente se si parla di prodotti alimentari, possono rendere problematica anche una situazione che non lo è.
È questo il caso della Mary-Jo, birra ceca prodotta a Trebon, vicino Ceske Budejovice, capitale della Budweiser, che si contraddistingue per la presenza al suo interno di Canapa quale sostanza aromatizzante, priva naturalmente di sostanze illecite (THC, delta-9-tetraidrocannabinolo) http://www.ecn.org/hemp/Thc/index.htm. Per effetto di vari articoli pubblicati in diversi quotidiani (http://tribunatreviso.gelocal.it/dettaglio/montebelluna-sequestrata-la-birra-alla-cannabis/1856509) a proposito del prodotto, e a causa dell’utilizzo di termini scorretti (marijuana in abbinamento alla birra) i NAS di Treviso, coerentemente con quanto previsto dal loro protocollo organizzativo, hanno provveduto al sequestro cautelativo del prodotto (http://www.newsfood.com/q/9d650063/mary-jo-birra-amaricante-alla-canapa-o-contiene-anche-sostanze-proibite/). Bisogna specificare che la Mary-Jo (attualmente importata in Italia dall’Azienda Hemporio di Montebelluna, Treviso) (http://hemporio.mary-jo.eu/) non è l’unica birra che impiega canapa come aromatizzante in quanto Birra Amiata (http://www.birra-amiata.it/) produce Gincana, birra aromatizzata a base di ginepro e canapa. Ed anche qui i sospetti potrebbero dare adito a chissà cosa…….e voi che ne pensate??? (già immagino i commenti di qualcuno/a…..)

mercoledì 24 febbraio 2010

Dieci parti d’acqua e cinque di vino

L’alimentazione ha sempre avuto una valenza sociale nella storia dell’umanità, tanto da condizionare in maniera determinante lo sviluppo delle società in ogni epoca.
“Siamo quello che mangiamo” (Feuerbach) da un punto di vista costituzionale, ma è anche vero che il modo in cui mangiamo è funzione dell’epoca nella quale ci troviamo, e delle condizioni socio-economiche che viviamo.
Queste riflessioni sono lo strascico della mia partecipazione serale all’appuntamento inaugurale del ciclo di incontri “Il pane e le rose: incontri tra scienza e cultura dell’alimentazione”, organizzati dal Consiglio del Corso di laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari della facoltà di Agraria (Università di Potenza) e da Formica Onlus (http://www.formicaonlus.org/), nel quale si è discusso di “Storia e Cultura nella Grecia Antica” con un seminario tenuto dal Prof. Luigi Gallo (http://vyew.com/room#/663583/Il_Pane_e_le_Rose_n._0).
Leggera ed interessante la trattazione che delinea il quadro storico culturale nel quale sono maturate le abitudini alimentari nella Grecia Antica, condita da diversi riferimenti letterari.
Un’alimentazione basata prevalentemente su legumi e cereali (un ruolo marginale aveva anche il consumo di pesce , latte e carne, soprattutto di maiale ed ovina), frumento ma soprattutto orzo (raffigurato anche in monete dell’epoca) del quale si decantavano le proprietà terapeutiche (“l’orzo…contiene qualcosa di evacuante che gli viene dal succo della paglia” – Ippocrate, “Sul regime”), impiegati in combinazione con semi di papavero o cumino per produrre diverse tipologie di pane (Artolagano, Kapyria, Apanthrakis, Boletinos). La dimostrazione che l’alimentazione si basasse prevalentemente sui cereali è evidente oltre che dall’analisi delle arcate dentarie di uomini dell’epoca (la conformazione e lo stato di molari ed incisivi risultava differente in relazione ad un’alimentazione prevalentemente basata su vegetali e legumi, o su carne) anche da fonti letterarie, ad esempio nell’Odissea (IX, vv. 190-192) riferendosi al Ciclope Polifemo ed alla sua diversità nei confronti dei greci si trova “Era un mostro immenso, non somigliava ad un uomo che mangia cereali, ma alla cima selvosa di altissimi monti, che appare isolata dalle altre”.
Tanti gli altri spunti interessanti che è difficile sintetizzare in poche battute. Ed allora ci provo. Era diffusa la pratica di mangiare sdraiati su letti conviviali, ed il vino veniva sempre servito annacquato in quanto si riteneva che bere vino puro fosse un rito barbaro, degno di popoli rozzi ed incivili (“Su, ragazzo, portami la tazza, che io beva d’un fiato, versa dieci parti d’acqua e cinque di vino, perché senza violenza io voglio ancora inebriarmi”. – Anacreonte, fr.33). Fondamentale l’uso del sale nella preparazione dei piatti (“Prima di tutto c’è il sale, senza il quale nessun cibo è mangiabile”. – Plutarco, Questioni conviviali, 668 e), tanto da incidere sul controllo dell’ira (“Quando, per una pietanza troppo cotta o che sa di fumo o che è poco salata si battono i servi o si ingiuria la moglie”. – Plutarco, Sul controllo dell’ira, 461 C).
La riflessione di fondo è relativa alla considerazione che ogni società, nel tempo, ha seguito criteri diversi nella scelta di ciò da mangiare, in base a fattori sociali, geografici, culturali. Come scriveva Alexandrides nel 1400 circa: “…..il greco disse all’egiziano: tu adori il bue, noi lo sacrifichiamo agli dei (e lo mangiamo); tu fai dell’anguilla un gran dio, noi una grandissima pietanza; tu non mangi il maiale, io lo gusto più di ogni altra cosa; se tu vedi il gatto stare male piangi, io invece lo ammazzo…”.

lunedì 15 febbraio 2010

Il Pane di Matera al battesimo della GDO

Il Pane di Matera al battesimo della GDO

È di pochi giorni fa la notizia che il Pane di Matera Igp (indicazione geografica protetta) ha varcato la soglia della Grande Distribuzione Organizzata approdando, grazie ad un accordo commerciale esclusivo, nei punti vendita CONAD di Marche, Abruzzo, Molise ed Emilia Romagna (http://ilquotidianodellabasilicata.ilsole24ore.com/it/basilicata/pane_matera_conad_5423.html). Da adesso in poi, verrà venduto in oltre 140 negozi italiani, ad un prezzo niente male di 5,90 € al kg.
Il consorzio del pane di Matera (http://www.consorziopanedimatera.com/), costituito per valorizzare questo prodotto agroalimentare lucano, attualmente coinvolge quattro giovani imprenditori e produttori (http://www.consorziopanedimatera.com/it/consorziati.html) disposti a seguire rigorose procedure che prevedono il rispetto di parametri relativi all’intera filiera produttiva (dalla messa in campo delle colture cerealicole alla raccolta fino alla panificazione). La panificazione richiede il rispetto del Disciplinare di produzione che fissa vari parametri specifici.
Leggendo il Disciplinare si apprende che il nome “Pane di Matera” spetta al prodotto ottenuto esclusivamente utilizzando semola di grano duro con determinati parametri qualitativi (tenore in glutine, indice di giallo, umidità, ceneri). Almeno il 20% delle semole deve inoltre provenire da ecotipi locali e vecchie varietà coltivate nella provincia di Matera (Cappelli, Duro Lucano, Capeiti, Appulo) e non è ammessa semola proveniente da OGM.
Dal punto di vista visivo il “Pane di Matera” si presenta sotto forma di cornetto oppure a pane alto, con pezzatura di 1 o 2 kg, con spessore della crosta di almeno 3 mm e con mollica di colore giallo paglierino con caratteristica alveolazione. Nel Disciplinare vengono fissate altre quattro caratteristiche sensoriali: 1) croccantezza della crosta, 2) odore acido, 3) odore di bruciato, 4) sapore acido.
Il processo produttivo prevede sinteticamente la preparazione del lievito madre (farina, polpa di frutta fresca tenuta prima a macerare in acqua) che può essere riutilizzato al massimo per tre rinnovi, al quale si aggiungono semola di grano duro, sale, acqua. Una prima lavorazione in impastatrice dura 25-35 minuti, segue poi una fase di riposo durante la quale l’impasto lievita all’interno di vasche (coprendolo con tele di cotone o lana) per una mezz’ora. Successivamente si ottengono delle preforme di poco più di 1 o 2 kg, che vengono lasciate riposare per circa 30 minuti su tavole di legno; dopo una lievitazione finale di 30 minuti si cuoce l’impasto in forni a legna. Per il confezionamento vengono preferiti film plastici microforati, in parte trasparenti (per rendere visibile il prodotto) ed in parte opachi o colorati, o carta multistrato finestrata. La shelf life del prodotto è di circa una settimana.

domenica 24 gennaio 2010

Birra senza glutine

Ultimamente mi è capitato spesso di veder esposta in alcuni locali la lavagnetta che recita “qui birra senza glutine”. Allora ho deciso di documentarmi ed ho addirittura scoperto che esiste in Inghilterra, precisamente a Chesterfield, cittadina di circa 70000 abitanti della contea di Derbyshire, un vero e proprio festival delle birre senza glutine, la cui unica edizione si è svolta finora a febbraio 2006.
Sarà scontato per molti, ma voglio ricordare che il glutine altro non è che un complesso proteico che si forma in gran parte dei prodotti a base di avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale (http://www.celiachia.it/dieta/alimentazione/cereali_vietati.aspx), e quindi anche nella birra), e che è fonte di intolleranza per un gran numero di persone (potenzialmente 400000 in Italia secondo stime AIA, anche se i diagnosticati sono finora molto di meno- (http://www.celiachia.it/aic/celiachia/cosae_celiachia.aspx).
Come si apprende dal sito dell’AIA (Associazione Italiana Celiachia) è stato sviluppato dall’Unità di ricerca sul glutine del Consiglio Superiore di Ricerca Scientifica spagnola (www.csic.es) un metodi di analisi per la ricerca del glutine anche in prodotti ove esso risulta in forma idrolizzata.
Ma quante e quali sono le birre senza glutine disponibili nel mondo? A quanto pare non ve ne sono molte e risulta anche difficile reperirle, ma un elenco lo possiamo trovare proprio sul sito del Festival della birra senza glutine (http://www.glutenfreebeerfestival.com/), alla voce Available Beers.
È importante considerare la normativa che disciplina in Italia il settore dei prodotti alimentari senza glutine. L’insieme di norme che richiamano i prodotti senza glutine può essere sintetizzata nel D.lgs.111/92 e nel Regolamento CE 41/2009. Di recente inoltre, una Circolare del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ha inteso chiarire alcuni aspetti relativi all’applicazione dei criteri di composizione ed etichettatura di alcune categorie di prodotti destinati ad una alimentazione particolare, tra le quali rientrano anche i prodotti senza glutine.
Va ricordato che il limite analitico legalmente riconosciuto per poter definire un prodotto “senza glutine” è di 20 ppm (max 20 mg/kg) mentre per prodotti con un tenore residuo di glutine non superiore a 100 mg/kg (100 ppm) va utilizzata la definizione “con contenuto di glutine molto basso”. Inoltre la produzione ed il confezionamento di prodotti senza glutine devono essere effettuati in stabilimenti autorizzati dal Ministero della Salute (art.10 D.lgs.111/92)ed i prodotti sono soggetti a “notifica di etichetta” (art.7 D.lgs.111/92).
Attualmente sono diverse le birre artigianali ed industriali che possono essere reperite in commercio, tra le quali ricordiamo l’artigianale italiana RitzTrèsor (http://www.glut3.com/birra_celiaci.html), la Schnitzer Bräu (http://www.schnitzerbraeu.de/glutenfreies-bier/pages/brauerei), la Bi-Aglut (http://www.biaglut.it/ITA/Prodotti/Birra/default.htm), la Estrella (http://www.estrelladamm.es/idiomas/idiomas.asp)

giovedì 21 gennaio 2010

Mangiare lentamente per perdere peso

Ieri sera nel TG1 delle ore 20 vi è stato un servizio particolare (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-7e38c35c-f28d-40db-8f0d-b11fb8dc3f4f.html) nel quale si presentava un apparecchio di costruzione svedese, di forma circolare, che abbina le funzioni di cronometro a quello di una bilancia da sistemare sotto il piatto a tavola, e che in funzione del peso di cibo nel piatto e della velocità con la quale si consuma, sarebbe in grado di suggerirci se stiamo mangiando troppo velocemente invitandoci a moderare la velocità. Tale prodotto, girando per la rete, ho scoperto essere stato già trattato sul blog del settimanale Panorama (http://blog.panorama.it/hitechescienza/2010/01/19/un-cronometro-nel-piatto-aiuta-a-perdere-peso). Al Tg 1 il Medico nutrizionista Pietro Migliaccio confermava come mangiare lentamente, oltre ad assicurarci la possibilità di gustare meglio i cibi, ci preserva dal rischio di riflussi gastroesofagei. Ed il principio del mangiare lentamente mi è balzato agli occhi proprio nelle scorse serate leggendo il best seller di Micheal Pollan "In difesa del cibo", nel quale a pagina 66 l'autore, descrivendo una serie di pratiche adottate nella clinica del Dr. Kellogg nel Michigan, nella quale i pazienti si sottoponevano a trattamenti apparentemente benefici e disintossicanti, ricorda che ad ogni pasto vigeva l'obbligo di masticare ogni boccone un centinaio di volte (una masticazione prolungata ridurrebbe l'apporto proteico). Insomma, pur sembrando una consuetudine diffusa (per fame o per fretta) in verità non è mai stato un mio problema quello di mangiare velocemente, anzi spesso mi è stato rimproverato il contrario, ma evidentemente i fatti provano che non faccio così male a conservare questa abitudine...

domenica 17 gennaio 2010

Una dieta originale per il pollo

Non sapevo esistesse questo nuovo modello di allevamento dei polli, ma stamattina a Melaverde nota trasmissione che si occupa di alimentazione ed agricoltura (http://www.tv.mediaset.it/rete4/mela_verde/), ho appreso del pollo allevato a latte e miele. Si tratta di una forma sperimentale di allevamento a terra, che consiste nel somministrare (soltanto nell’ultimo mese di vita degli animali) latte e miele insieme agli altri ingredienti della razione, tipicamente cereali e crusca. Ne deriverebbe, a detta di esperti che hanno testato le proprietà delle carni ottenute, un pollo dal sapore caratteristico, con carni tenere e succose.
Il modello di allevamento è protetto da un brevetto, depositato nell’ottobre 2007 e sono quattro le aziende agricole che hanno aderito al progetto, come si può leggere sul sito della camera di commercio di Padova (http://www.pd.camcom.it/dev_cciaa/Web.nsf/webPromo/pollo_latte_miele).
Insomma una forma di impiego originale e apparentemente efficiente del binomio latte e miele, alternativamente al classico utilizzo come antidoto al raffreddore.